Che la produzione musicale sia un marasma incontrollabile è un fatto che siamo stufi di rimarcare. Per fortuna, nell’oceano di mode effimere e “grandi band” che si bruciano in un giorno, qualcosa di più solido della media viene comunque a galla. Prendete il dream-pop, in cui – chissà se per ragioni di prospettiva storica errata o semplice approssimazione – certuni infilano di tutto saltando dai Crocodiles a “Lagna” Del Rey. Vallo a spiegare come stanno le cose, ai trenta-e-qualcosa che sbavano se gli piazzi sotto al naso il 7” di Upside Down e che quando la faccenda ebbe inizio frequentavano l’asilo. Allora: di cosa parliamo quando parliamo di shoegaze? Per quanto mi riguarda, di tessiture sonore e melodie eteree che si avviluppano le une alle altre finché la mente, avvolta in una psichedelia che profuma di caramello e assenzio, non vaga cullata e sballottata tra panorami ambient e interni d’alabastro.
Come se i Pink Floyd del dopo-Barrett fossero stati prodotti da Brian Eno e per loro avessero cantato Nico e Tim Buckley? All’incirca. Se alle fantasie iperboliche preferite solidi fatti, (ri)ascoltare l’opera omnia dei Breathless vi chiarirà le idee e renderà felici. Quando pensi ai capostipiti del pop onirico è soprattutto a loro che devi guardare, non fosse altro che per ragioni cronologiche. Ma anche perché altri capisaldi come A.R. Kane e My Bloody Valentine fanno storia a sé, e perché nella seconda metà degli anni Ottanta in cui salirono alla (purtroppo modesta) ribalta, costoro furono un prezioso anello mancante tra dopo-punk e psichedelia.
Caso raro di “culto influente”, i Breathless hanno saputo tessere un acid (post) rock moderno, intriso di atmosfere fascinose, romanticismo allucinato e magie mai esangui. Del resto non è colpa loro se siamo circondati da frotte di emaciati epigoni: conta il fatto che il gruppo guidato dal cantante/tastierista Dominic Appleton sia più attuale che mai e tuttora in forma smagliante. Lo comprovava nell’autunno del 2012 lo stupendo Green To Blue, doppio LP che interrompeva una lunga pausa (l’apprezzabile Behind The Light faccenda del 2003) con un Dorian Gray che nulla aveva da invidiare all’iniziale doppietta di classici The Glass Bead Game e Three Times And Waving, uscita tra ‘86 e ‘87 per la propria etichetta Tenor Vossa (come l’intera discografia: della serie quando sei punk non solo a parole).
Ritrovavi colà tutta la profondità espressiva e lo stile unico di un progetto allestito da Dominic con amici fidati e la compagna di vita Ari Neufeld ispirandosi a Jean-Luc Godard e Herman Hesse, al krautrock e a The Piper At The Gates Of Dawn, a Van Morrison e Leonard Cohen. Quello stesso felice connubio tra visione e passione in cui la razionalità tira le fila che rappresentava la spina dorsale di Chasing Promises e Between Happiness And Heartache, altre opere di pregio pubblicate allorché gli ’80 sfumavano nel decennio successivo.
Poi altre otto stagioni di intervallo fino al 1999 e a Blue Moon, dallo scorso febbraio fresco di ristampa (anche in vinile…) e che caldamente vi consiglio. Con la riservatezza che li caratterizza, i Breathless vi suggeriranno un momento i Mogwai – altri che devono ringraziarli assai: ascoltare per credere Magic Lamp e Come Reassure Me – e quello dopo un incrocio tra Cocteau Twins e Joy Division (All The Reasons Slide), restando meravigliosamente se stessi e più che altrove nella maestosa bellezza di Walk Down To The Water e nell’intimismo umbratile di Good Night e Viva. Appleton – maestro della voce intesa e usata come uno strumento – ne parla come della loro opera più lo-fi e sperimentale: vale specialmente per il secondo dischetto, ma ovunque emerge un complesso che si è messo in discussione e che ha lavorato sull’armonia del suonare insieme calibrando ogni dettaglio.
Metodologia che non appartiene a quest’epoca frettolosa e che Dominic accosta giustamente al modus operandi dei Can, qui evocati tramite i Savage Republic nel tumulto No Answered Prayers: strutturare canzoni dalle jam istillandovi emozioni, anche quando si dipingono astrattismi come la Green Finger Swinger aromatizzata di jazz privo di gravità e il cinematico magma della già citata No Answered Prayers. Avercene di gente così… Di sognatori con i piedi saldi nella realtà e, proprio per questo, capaci di una musica che conosce il segreto per essere melanconica e al contempo fisica. Musica alla quale ti abbandoni ogni volta come fosse la prima, meravigliato nella mente e rasserenato nell’anima, un altro passo oltre l’ineffabile.