“Abbiamo bisogno di tornare alle nostre radici e abbinargli originalità. Questo è l’unico modo di fare le cose. Sempre.” (Orlando Julius, 2016)
Ottenuta l’indipendenza definitiva dagli inglesi nel 1960, sei anni più tardi la Nigeria cadeva sotto una dittatura militare fortemente accentratrice. Da lì iniziava lo stillicidio di guerre civili, colpi di stato ed elezioni farsa che costituisce la realtà quotidiana di una terra colma di petrolio – la cui estrazione con metodi desueti e fortemente inquinanti ha devastato il delta del Niger – gestito da note multinazionali con joint ventures in cui il governo locale detiene la maggioranza. Capito come gira il mondo?
Consolatevi pensando che là si è sviluppato un panorama musicale fiorente e ricco di contatti con gli Stati Uniti. Ed è proprio una peculiare lettura del soul che viene in mente ascoltando Orlando Julius, soprattutto i due folgoranti CD editi da Vampisoul un decennio fa intitolati Super Afro Soul. Sono la fotografia coloratissima del periodo ’66-’72, in cui il ventitreenne altosassofonista Julius Aremu Olusanya Ekemode (Orlando un soprannome ispirato da un noto attore connazionale) esordiva su Polygram dopo una lunga gavetta.
Accompagnato dai Modern Aces, stampava un LP (intitolato per l’appunto Super Afro Soul) che sprigionava una stupefacente mescolanza tra il highlife importato dal Ghana, le influenze jazz lascito di Charlie Parker e John Coltrane e le suggestioni elargite da Smokey Robinson, Temptations, Otis Redding. Qualcosa che somiglia a una versione più percussiva e ipnotica – in formazione conga, bongo, l’agigdigbo impiegato nei rituali Kokoma – del rhythm‘n’blues che ebbe un successo immediato nei club di Lagos. Non solo: taluni affermano che l’impatto di quel trentatré giri abbia contribuito a preparare il terreno all’imporsi del funk in America. Chissà.
In retrospettiva un po’ lo percepisci nell’avanguardistica mistura di cui sopra, nei contorti assoli che irrompono fra gioiosi bombardamenti fiatistici di marca Stax, lungo tappeti ritmici battenti e magnetici, nella vocalità ieratica però calda. Cose impossibili ad ascoltarsi in qualsiasi brano occidentale coevo, come del resto certe chitarre insieme serpeggianti e grattate e una Ijo Soul che, sgomitando tra Hold On I’m Coming e I Feel Good, culmina in un saggio di spiccata unicità. Così, grazie ai successi Jagua Nana, Topless e Ololufe, Julius viveva da star fino all’arrivo di Fela Kuti, già trombettista occasionale nei Modern Aces…
Rispecchiando l’evoluzione della black music, i successivi Orlando’s Idea e Ishe indagavano il funk con la nuova formazione, gli Afro Sounders. Espansa la durata, i brani cedevano alle benefiche tentazioni funkedeliche perfettamente esemplificate da una Psychedelic Afro Shop che di quella fase rappresenta il cardine. Esaurita la vena, Orlando emigrava oltreoceano: con gli Umoja apre concerti di Marvin Gaye, Curtis Mayfield e Isaac Hayes vedendosi scippare il merito di una Going Back To My Roots largamente basata sulla sua Ashiko. Di nuovo in madrepatria, nel dicembre 1998 allestisce la Nigerian All-Stars band e un forum per musicisti.
Nel nuovo millennio fioccano le ristampe e il passaparola su un genio che tuttora vanta una forma smagliante, attestata dall’ottimo Jaiyede Afro uscito su Strut nel 2014. Con i britannici Heliocentrics, la Leggenda offre un appassionato compendio stilistico ripescando una manciata di inediti accanto alla rilettura di In The Middle, dritta dal repertorio di Mr. Dynamite. Sempre indifferente al tempo e alle mode, questa musica è una festa per lo spirito e la mente dove la sinuosa title-track, il “suono totale” in stile Bitches Brew di Alafia e Aseni e una Sangodele tesa e levitante distillano materia pulsante, indispensabile. Orlando (is) Magic!