Ognuno ha la folgorazione sulla via per Damasco, ma quel fenomeno di Max Romeo ne vanta almeno un paio. Sempre lui a transitare dalle dolcezze degli Emotions alle lubriche Pussy Watch Man e Wet Dream e da lì a una fiera militanza. Prima di etichettarlo come un furbacchione, considerate che: 1) ci mise la faccia politicamente rischiando assai; 2) la sua in realtà è una graduale presa di coscienza della distanza che separa Kingston dalla Madre Africa. Poi, beh, War Ina Babylon mette tutti d’accordo, no?
Il suo artefice nasce Maxie Livingston Smith nel novembre 1944 e sgobba in una piantagione di canna da zucchero finché non vince un concorso canoro. Fresco maggiorenne, nella capitale assume il nome d’arte che sappiamo e fonda gli Emotions con Kenneth Knight e Lloyd Shakespeare. Ventiquattro mesi dopo vuole far da sé ma con Bunny Lee non lega. Tutt’altra storia con Perry: buttate giù parole su Hold You Jack di Derrick Morgan, “Scratch” costringe il ragazzo al microfono ed ecco. Benché non sia il debutto assoluto della slackness, la malandrina Wet Dream è talmente esplicita che anche nel Regno Unito afferrano la “velata” metafora. Favolosa faccia di bronzo, Romeo sostiene che parli di dormire sotto un tetto che perde acqua: la censura non abbocca, bandisce e così crea un caso. Il… sogno bagnato entra nei Top 10 entusiasmando gli skinhead albionici e inaugurando una moda proseguita con Wine Her Goosie, Mini Skirt Vision e Pussy Watch Man.
Imitato da una pletora di Tinto Brass della battuta in levare, Max guarda altrove investendo in un’etichetta e in un sound system. Al duplice fiasco replica con un pugno di singoli e poi arriva il 1972. In Giamaica si vota in un clima teso, acuito dal senso di apocalisse del rastafarianesimo. In carica dall’indipendenza, i conservatori rivaleggiano con il partito socialista guidato da Michael Manley. Mentre le fazioni si scontrano non per modo di dire, gli artisti prendono posizione ricorrendo sovente a simboli biblici. Soprannominato “Giosuè”, Manley riceve in dono lo spiritual rasta Let The Power Fall On I, da usare nella campagna elettorale dove il Nostro divide il palco con Bob Marley.
Il coevo Let The Power Fall vive di un analogo afflato e immaginatevi lo shock di chi aspettava nuove porno-guasconate. Il ciclo termina con la vittoria del PNP e No Joshua No, che prega il leader di mantenere le promesse. A metà decennio, Romeo abbraccia un misticismo condito d’iraconda rivalsa – in Giamaica i confini sono notoriamente labili – per Revelation Time, da avere possibilmente nella ristampa Blood & Fire espespansa intitolata Open The Iron Gate. Tuttavia nel ’76 sull’isola regna ancora il caos. Approfittando della crisi economica, con terrore e brutalità gli avversari cercano di scalzare il governo. Falliscono, per fortuna. E per fortuna Smith affida cronaca e speranze di quel periodo ad alcune canzoni.
Di Sipple Out Deh Chris Blackwell fiuta il potenziale: remixa, ribattezza e le inquiete vibrazioni di War In A Babylon arrivano in Inghilterra. L’omonimo LP è un Capolavoro accostabile a Police & Thieves per temi e stile, per il lucido Perry anche qui ai comandi, per la disinvoltura con la quale la musica “parla” anche al pubblico rock. Soprattutto, per una trama oscura e fangosa – però anche solare, in qualche strano e geniale modo – che fonde splendidamente ritmi, fiati, ugola. Una penna al top consacra la perfezione delle ipnotiche One Step Forward e Smokey Room, dell’innodia pigramente malinconica di Uptown Babies Don’t Cry e Smile Out A Style, dell’imperiosa Chase The Devil e di una stellare title-track, della meditativa Norman e di una dolceamara Stealing In The Name Of Jah.
Solo discesa da qui. Il litigio col mentore ha come conseguenza il modesto Reconstruction, un trasloco a New York per scrivere musical (!) e partecipare a Emotional Rescue. Nell’81 proprio Keith Richards supervisiona Holding Out My Love To You: superiore ai predecessori I Love My Music e Rondos, comunque scolora davanti agli “scarti” dell’epoca d’oro recuperati in Meets Owen Gray At King Tubby’s Studio. Sarà la dancehall a scuotere l’uomo, che nei ’90 rientra in patria proponendo cose dignitose con Jah Shaka, Tapper Zukie e i romani Tribù Acustica giungendo al nuovo millennio tra riedizioni, concerti, nuovi dischi e persino la pace con “Testamatta” Perry. Lunga vita, Signor Pussy Watcher!