C’è stata un tempo in cui la musica era legata al supporto che ne veicolava la fruizione. Un rapporto sovente intimo, quello tra contenuto e forma, suoni e copertina, ed è per questo che quando pensi ai capolavori della musica popolare di rado rammenti grafiche mediocri. Un’occhiata e di The Shape Of Punk To Come colpiscono subito l’impianto vintage, il logo stereofonico, l’incastro tra le foto in bianco e nero e le sagome colorate. Come ho scoperto più tardi, è una rielaborazione della copertina di Teen-Age Dance Session dei Rye Coalition che prendeva le mosse da un omonimo album del 1954 di Dan Terry.
Di gran lunga più focalizzata e stilosa, la versione degli svedesi Refused introduce adeguatamente a un capolavoro che i decenni hanno accresciuto in profondità e intelligenza. È hardcore in chiave post, il suo, che travolge con la densità delle idee: anche prima di ascoltarlo capisci di essere davanti a qualcosa di importante per via di un titolo che parafrasa il più punk fra i jazzisti e cioè Ornette Coleman. L’unico difetto – si fa per dire – di The Shape Of Punk To Come è che nessuno ne ha seguito l’esempio. Il punk inteso come linguaggio che guarda avanti si è spento in queste canzoni e in una commovente, idealistica fede nel potere estetico, sociale e politico della musica. Il resto appartiene alla nostalgia, agli esercizi di stile, a uno shakespeariano rumore per quasi nulla.

Di ben altro spessore cinquantacinque minuti geniali che fondono istinto e ragione chiamando in causa Allen Ginsberg, Bo Diddley, Henry Miller, Igor Stravinsky, Nation Of Ulysses, il situazionismo. E che inscenano l’ultima evoluzione del punk proprio alla fine del decennio che ne ha testimoniato il “boom economico”, allorché la nicchia hardcore accoglie le riflessive frange emo e si arrocca in oltranzismi straight edge, scivolate metallare ed esibizioni di testosterone. I Refused, invece, stanno dalla parte di chi non predica ai convertiti: in sette anni, la band di Umeå – città universitaria affacciata sul Golfo di Botnia – ha pubblicato due album e alcuni E.P. di “positive hc” sempre più pesante, complesso e schierato.
Tuttavia, per il cantante Dennis Lyxzén, i chitarristi Kristofer Steen e Jon Brännström e il batterista David Sandström una svolta è necessaria. Vogliono il balzo che li spinga oltre ciò che percepiscono come una soffocante ortodossia. Missione compiuta tramite una contaminazione assoluta sottotitolata A Chimerical Bombination in 12 Bursts che esce nel 1998, con la formazione separatasi in malo modo interrompendo un tour americano e giurando che “mai più…”. Nel frattempo, qualcuno storce il naso – si ricrederà presto – per le strutture elaborate, la tecnologia, le suggestioni jazz, folk e persino classicheggianti. In realtà, una visione nitida spiega come punk e hardcore non possano più esercitare un’opposizione al sistema tramite sonorità assorbite dal mainstream. Se le parole sono “contro”, tale deve essere la musica. E infatti…

Infatti la scommessa è vinta, osando l’inosabile dall’iniziale Worms Of The Senses/Faculties Of The Skull: parlato su fondale urbano, spirali di synth ed esplode un elegante schiacciasassi, bruscamente interrotto prima dell’apocalisse da una sintonia radiofonica e uno speaker che in italiano (!) presenta la “nuova banda house svedese” su una base sonora in tema. Mentre sghignazzi compiaciuto, Liberation Frequency ipotizza dei Clash che si credono gli Slayer e poi, tramite uno spezzone prelevato da un LP di Charlie Parker e Dizzy Gillespie, il blues metallurgico scuro, marmoreo e con intarsi jazz The Deadly Rhythm ti spedisce al tappeto. Chiarito il messaggio, la scaletta respira nella vigorosa immediatezza di Summerholidays vs. Punkroutine, spiazza con la drum’n’bass di Bruitist Pome #5, porge lo squassante inno New Noise e l’elaborato uragano con coda stranita The Refused Party Program.
Se Protest Song ’68 sistema corde grattugiate, deflagrazioni, spigoli su scansioni vagamente alla Can, Refused Are Fuckin’ Dead è funk-metal tellurico e slanciato e la title-track vede i Gang Of Four nascere un decennio più tardi. Spetta al finale l’atterraggio in territori alieni: da un violino dark-folk, Tannhäuser/Derivè sfocia in un gorgo tra post-metal e Slint, alternando devastanti ondate a nervose risacche per risolversi in una malinconica aria popolare, laddove i titoli di coda scorrono sull’acustica, tesa meditazione The Apollo Program Was A Hoax. Punk? Certo che sì. E favoloso, anche.
Dopo la separazione, Lyxzén si dà al garage soul con gli (International) Noise Conspiracy e gli altri a imprese di profilo più basso, poi il frontman e Sandström si rincontrano di negli AC4 e Steen racconta l’ultimo anno della band nel documentario Refused Are Fucking Dead. A sorpresa, in parallelo all’edizione “deluxe” del 2010 di quanto sopra magnificato trapelano indiscrezioni su una reunion, concretizzata di lì a un biennio con regolare codazzo di polemiche, presenze a festival, controversa defezione di Brännström e discreti album nuovi. Faccende piuttosto trascurabili, lo si dica. Senza rimpianti né amarcord, i Refused sono fottutamente morti nell’eternità di un capolavoro. Nella forma di un punk tuttora futuribile.