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Konono N° 1: trance world express

Nel cosiddetto “terzo mondo” si fa di necessità virtù. Ringraziate il colonialismo per tutto ciò e rinfrancatevi pensando a come questo modus vivendi si applichi anche alla musica. Oltre al dub mi vengono in mente i congolesi Konono N°1, soliti esibirsi per strada in danze e canti accompagnati da un arsenale di percussioni metalliche e di likembé, uno strumento autoctono – noto anche come thumb piano – nel quale sottili lamine fissate a un’estremità sono abbassate producendo una vibrazione al contempo dolce e tagliente.

A un certo punto la nutrita congrega si rendeva conto della necessità di un’amplificazione: se la saranno mica comprata? Figurarsi! La costruivano con materiali prelevati dalle discariche, così che i loro strumenti sono oggetti sul serio trovati alla faccia del dadaismo e degli Einstürzende Neubauten. Citatemi altri che siano più DIY, indipendenti e attitudinalmente punk. Poi rintracciate qualcuno al contempo primordiale e futuribile, ipnotico con sensualità e sperimentale.

Congotronics

Lontanissimo da qualsiasi freddezza, il suono dei Kokono N°1 possiede bellezza, slancio e inventiva degne del rock, dell’elettronica e del jazz più fulgidamente sperimentali. Come per ogni artista che prevede il futuro, le loro radici si spingono molto indietro. Correva infatti l’anno 1966 quando il camionista e suonatore di likembé Mingiedi Mawangu allestiva la Orchestre Tout Puissant Likembe Konono Nº1. Appartenente ai Bazombo, un’etnia dislocata sul confine tra Angola e Repubblica Democratica del Congo, ne adattava la musica rituale, di solito eseguita con fiati ottenuti da zanne di elefante, e facendo i conti con la distorsione provocata dal soundsystem ricavava qualcosa di unico.

Nell’87 un brano con già nove anni sulle spalle appariva nella compilation francese Zaire: Musiques Urbaines A Kinshasa, nondimeno bisognava aspettare il nuovo secolo per veder uscire il nome dai circoli degli intenditori. Il produttore belga Vincent Kenis andava a stanarli e registrava per Crammed Discs l’epocale Congotronics del 2004, che lasciava a bocca aperta la stampa e il segno su chiunque, da Grizzly Bear ad Animal Collective e Andrew Bird passando per Bjork e Herbie Hancock, che in seguito collaboreranno con l’ensemble africano.

konono

Merito di una forza comunicativa che stordisce e affascina, sciogliendo brani lunghissimi che come maree frenetiche però benevole avvincono in un gioco instancabile di tensione e rilascio. Lasciando infine felici schiavi del ritmo e anche per questo li consiglio anche se della world music non vi importa nulla. Perdonatemi per aver usato quell’orrida parola, sapendo sin da ora che per innamorarvi basterà un ascolto e procurarsi i live Lubuaku e At Couleur Café e la successiva puntata in studio Assume Crash Position. Intanto Mingiedi cedeva lo scettro al rampollo Augustin ed usciva il doppio Tradi-Mods Vs Rockers, tributo con cover e remix cui partecipavano, tra i tanti, gente come Oneida, Deerhoof, Wildbirds & Peacedrums.

Morendo ottantacinquenne nel 2015, Mawangu padre si perdeva la partecipazione allo splendido From Kinshasa dei Mbongwana Star e l’apprezzabile Konono Nº1 Meets Batida. A metà dell’ottobre scorso purtroppo lo ha seguito anche Augustin, da tempo malato, e la torcia ora è nelle mani di suo figlio Makonda e del cantante Menga Waku. Rendetegli grazie ogni volta che darete in pasto allo stereo questa creatura che vi stringe a sé come un mantra stordente, come una danza contagiosa, come una trance mesmerica. Come una madre atavica che risiede nel nostro angolo più remoto, pronta a risvegliarsi ogni volta che lo vogliamo.

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