Nella “nostra” musica pochi si sono votati all’autodistruzione come Johnny Thunders. Fa male scriverlo, perché detesto il falso mito del “bello e perdente” e non trovo davvero nulla di romantico in chi soccombe alle proprie debolezze. Prima che mi diate del moralista, sappiate che l’essenza del rock per me sta altrove, in primis nell’espandere gli orizzonti espressivi e nell’eternare un’epoca in una canzone. Che in tale impegno si possa morire, rientra nella (cazzo di) vita della quale ognuno dispone come crede e come può. Così che per i Keith Richards e Iggy Pop dalla scorza durissima esiste un John Anthony Genzale Jr. sopraffatto da intime fragilità e dall’eccesso di identificazione con il lato oscuro. Anche lui va ricordato per le illuminazioni sparse lungo il sentiero degli eccessi: i vizi, per favore, si accomodino fuori.
Con quel cognome, John non poteva che nascere (sessantotto anni fa oggi) nella Grande Mela. La dieta del ragazzino del Queens consiste in British Invasion e girl groups, errebì e blues, Bob Dylan e Rolling Stones. Conseguito il diploma, gli Actress sono il primo complesso serio in cui suona la chitarra: nel ‘71 adotta lo pseudonimo che sappiamo, mentre le “attrici” divengono New York Dolls con l’arrivo del cantante David Johansen e della sei corde di Sylvain Sylvain a fianco del bassista Arthur Kane e del batterista Billy Murcia. La pittoresca combriccola si rivelerà fondamentale nel servire da cerniera tra un oltraggioso glam da bassifondi e presagi di punk fusi in un impasto fragoroso e beffardo. Solido il seguito nel Lower East Side, incidono demo in seguito editi dalla ROIR in Lipstick Killers e sostituiscono Murcia (annegato nella vasca da bagno causa mix di droghe e alcolici) con Jerry Nolan.
L’accordo con la Mercury arriva nel 1973. Prodotto da Todd Rundgren, a fine luglio il capolavoro New York Dolls sancisce il vero inizio dei Settanta in America. Il Nostro cofirma quattro brani e sforna un riff dietro l’altro, la critica recepisce il messaggio ma il pubblico è tiepido. Conseguenza ne è che il navigato George “Shadow” Morton supervisiona Too Much Too Soon: ancora scarse le vendite, il risultato è artisticamente inferiore e l’etichetta molla una formazione ormai preda di eccessi. Prendendo appunti per l’immediato futuro, Malcolm McLaren cerca di tramutarli in fenomeni situazionisti ricorrendo ad abiti in pelle rossa e bandiere comuniste sul palco. Non può funzionare. A metà decennio Thunders e Nolan (non più tra noi: idem Kane e Sylvain) sbattono la porta e la casa delle Bambole chiude fino alla patetica rimpatriata degli anni zero.
Johnny e Jerry riemergono poco dopo negli Heartbreakers con il chitarrista Walter Lure (scomparso nell’agosto del maledetto 2020) e Richard Hell, lesto a lasciare il basso nelle mani di Billy Rath per la classica storia dei galli e del pollaio. A mezza via tra i Ramones e un deragliante aggiornamento delle Dolls, il quartetto spicca nella scena gravitante attorno al CBGB’s: già con l’agenzia MainMan che curava il Bowie versione Ziggy, nell’autunno ’76 Leee Childers li aggrega al famigerato “Anarchy Tour” con Sex Pistols, Clash, Damned. Ed è in Inghilterra che gli Spezzacuori registrano L.A.M.F., acronimo di un like a mother fucker che, profano vangelo secondo il Settantasette, inquadra alla perfezione un lavoro crudo e ruvido. Da ascrivere agli annali come minimo il “manifesto” Born To Lose, il torrido e tossico inno Chinese Rocks cortesia di Dee Dee Ramone, la beffarda I Wanna Be Loved e la martellante One Track Mind. A voi scegliere il fangoso originale oppure Revisited, che nell’84 migliorava il mix rivoluzionando la scaletta.
Sono proprio i contrasti sulla produzione e il mastering dell’LP a causare lo scioglimento della band, così che Thunders si ferma a Londra per giocare nel ’78 la carta solista So Alone. Il primo album a suo nome resterà anche il migliore grazie alla felice unione fra il punk e un rock urbano dalle robuste venature blues, gli ospiti prestigiosi (tra gli altri Steve Marriott, Phil Lynott, Chrissie Hynde) e una scaletta solida con apici nell’indimenticabile struggimento You Can’t Put Your Arms Around A Memory, in una Pipeline girata hard, nella trascinante London Boys e nel glam moderno alla Only Ones – ci suonano infatti sia Peter Perrett che Mike Kellie – Ask Me No Questions. Invece di capitalizzare, l’uomo trasloca con moglie e figli a Detroit sperperando l’occasione Gang War con l’ex MC5 Wayne Kramer, riformando più volte gli Heartbreakers e vendendo le chitarre per la roba.
Quando durante un tour viene arrestato, gli danno infine una ripulita. Gli anni Ottanta raccontano un reduce che in coda al decennio ha un’impennata d’orgoglio ed entra in riabilitazione. Vuole allontanarsi dalla matrigna New York e provare a rifarsi una vita, ma il destino dispone diversamente. Il ventitré aprile 1991 Thunders muore a New Orleans in circostanze mai chiarite. Trentasei ore prima aveva reinciso con i Die Toten Hosen il manifesto Born To Lose: poi dice che uno è segnato, che se le cerca. La verità è che siamo tutti barche contro la corrente, Johnny boy, e i ricordi sono importanti. Grazie di avermi insegnato senza volerlo ad abbracciarli.