Almost blue: le sette vite di Mark Eitzel

Inafferrabile Eitzel! Lancia il sasso e nasconde la mano, cosi che il cronista ne rincorre le svolte per rendersi infine conto che sbaglia a cercarvi un senso “normale”. Di lui conta altro: la bellezza che porge da anni, la classicità costruita nella lotta contro demoni e debolezze, l’abilità di trasformare i bassifondi in poesia. Oltre il magistrale songwriter, tra alti e bassi un uomo dimostra che dal baratro si può uscire. Lasciando addirittura il segno, ché dai giorni in cui si nascondeva dentro gli American Music Club, a decine lo hanno seguito. Nondimeno, l’incrocio tra Gram Parsons, Nick Drake e Ian Curtis rimane unico e ineguagliato. Anche in solitaria Mark ha saggiamente inseguito quell’orizzonte, affidando le canzoni a sfumature diverse e talvolta poggiando un po’ sulle spalle di qualcuno capace di condividerne le visioni.

Quello il filo conduttore della calda tristezza “in jazz” di 60 Watt Silver Lining, del desertico Caught In A Trap… e dell’indie rock-folk di West. Peccato, dunque, che dopo l’apprezzabile Invisibile Man il californiano abbia sbatacchiato come una falena. Pur non sprofondando nelle ridicolaggini younghiane, le cover di Music For Courage And Confidence non andavano da nessuna parte e Candy Ass era maldestro; nel mezzo, la rilettura “ellenizzata” del proprio songbook di The Ugly American rappresentava una felice casualità. Meglio rifondare il Club della Musica Americana per due bei dischi e sfasciarlo ancora. Forse definitivamente, chi lo sa. Simile a Howe Gelb nel vagare istintuale e arruffato dietro all’impulso del momento, Mark ingannava il tempo finché nella primavera 2011 per poco non ci lasciava le penne a causa di un attacco cardiaco. Ripresosi, un amico offriva una vincita alla lotteria e l’anno seguente ecco il convincente Don’t Be A Stranger.

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Con fragilità solo apparente, si guardava ancora negli occhi il male fisico e di vivere. L’Arte ringraziava e noi con lei. Perché se è comunque bello sapere Mark vivo, i motivi di interesse artistico attorno al nuovo Hey Mr Ferryman non mancavano. Su tutti, la registrazione a Londra con l’ex Suede Bernard Butler in regia e alla maggior parte degli strumenti. Passata l’eccitazione, la domanda sorge spontanea: quanto possono integrarsi le tristezze blue(s) e una bilanciata grandeur glam-pop? Moltissimo, ché gli arrangiamenti ricchi senza eccedere e l’attenzione al dettaglio sottolineano una penna di nuovo stellare. Tutto quadra: nei Suede, Butler lavorava sul filo tra emozione pura e messa in scena della stessa, così da forgiare l’anello di congiunzione tra Ziggy e gli Smiths anche adoperando l’abito sonoro come mezzo comunicativo. Per questo il passo dalla melanconia glitterata a quella polverosa è spontaneo e azzeccato.

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Lo dimostra una scaletta da favola, soprattutto la prima metà dove ai Fab Four di Athens stilosamente brit di The Last Ten Years segue una An Answer da Verve senza prosopopea, alla The Road che mescola Five Leaves Left e Zuma rispondono l’incontro paradisiaco tra i Buckley e Tim Hardin Nothing And Everything e la bossanova con robusti echi del primo Momus An Angel’s Wing Brushed The Penny Slots. Laddove il saluto tra corde acustiche e luccicare d’anima Sleep From My Eyes si colloca tra i vertici assoluti del Nostro, In My Role As Professional Singer And Ham vanta un titolo fantastico e l’epica seppiata del giovane Scott Walker, Just Because brilla di folk dalle iridescenze jazzy e La Llorona è Morrissey accompagnato dai Calexico per vedere l’effetto che fa. Bello e vibrante, onesto e arguto, Hey Mr Ferryman è uno dei dischi migliori di Mr. Eitzel. Bentornato, amico.

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