Thyme Perfumed Gardens-2: Dantalian’s Chariot

Spesso le carriere soliste successive lo scioglimento di un gruppo ne rivelano gli equilibri e la chimica. Altrettanto spesso, a sommarle, quelle carriere non valgono la metà di quando si stava assieme appassionatamente. Prendete i Police: tutti a pensare che fosse Sting il leader, laddove era quello dal curriculum più scarso. Che diamine: professore di liceo e bassista fusion a Newcastle mentre Stewart Copeland aveva fatto “progressive” fiamme nei Curved Air e Andy Summers… Beh, Andy aveva già trentacinque anni sul serio suonati quando entrò nei Police, essendo stato al fianco – tra gli altri – di Soft Machine, Kevin Coyne, Eric Burdon. Con quest’ultimo condivideva l’amore per il blues, avendo militato quando si chiamava ancora Somers nella Big Roll Band del cantante/tastierista George Bruno, meglio noto come Zoot Money, ed ex alunno di Alexis Korner dal timbro vocale vicino a Steve Winwood e il cui rhythm‘n’blues era apprezzato nella scena “mod” di Londra.

Che c’entra tutto ciò con la psichedelia? C’entra, c’entra. Accade che nella fatidica estate del ’67 George respiri (ben altro in realtà il carburante…) l’incenso e il patchouli nell’aria, sciolga la formazione che in carniere ha due LP su EMI/Columbia di scarso successo e si metta al passo coi tempi. A cancellare i sospetti di opportunismo I Really Learnt How To Cry, retro di uno degli ultimi 7” della Roll Band che svolta verso un pop sognante. Così, poiché la cultura giovanile dell’epoca viaggia speditissima, da quel caleidoscopico luglio il gruppo si sarebbe chiamato Dantalian’s Chariot. Tutt’altre faccende anche musica e look, con il quartetto (completano i ranghi il batterista Colin Allen e il bassista Pat Donaldson) biancovestito, come candidi sono strumenti e amplificazione per fungere da scenografia all’avveniristico (e costosissimo) light show proveniente da San Francisco.

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Tratto il mefistofelico nome da un libro di stregoneria medievale, due settimane dopo aver annunciato pubblicamente la mutazione e ottenuto il beneplacito della Columbia, i Dantalian’s Chariot esordiscono al festival blues di Windsor. Ci si immagina le facce dei presenti allorché si lanciano in una versione lunga dieci minuti del loro capolavoro, quella Mad Man Running Through The Fields incisa alla prima session e subito volata tra gli apici della psichedelia. A settembre esce su singolo con Sun Came Bursting Through My Cloud, delizioso babà di melanconia agreste à la Kinks offerta dagli autori Tony Colton/Ray Smith. Bellissima, tuttavia è il Pazzo-che-corre-nei-campi il Classico istantaneo.

Scritta da Bruno e dal raffinato Andy come la maggior parte del repertorio e ispirata a reali esperienze allucinogene, procede spedita tra flash barrettiani e stacchi in stile Canterbury. Splendore che non va commercialmente da nessuna parte e diventa una rarità, mentre la critica applaude e nei club londinesi UFO e Middle Earth si scintilla di bravura grazie alla notevole preparazione tecnica. L’etichetta però non gradisce e scarica i ragazzi, che da qui in poi sbandano. Si svenano con l’impianto luci, appaiono nell’orrido musicarello “Popdown” e infine si rivolgono alla Direction, sussidiaria CBS che rispedisce al mittente un album pronto preferendo il raffazzonato e tradizionalista Transition. Quando nella primavera del ‘68 il disco esce a nome Big Roll Band, un inviperito Zoot scioglie il gruppo.

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Dopo il rompete le righe, sale con Andy su un aereo per la California e raggiunge Eric Burdon nei New Animals. In dicembre ripescano Madman… sul di lui trentatré Love Is, poi ognuno per sé: Money alternerà la carriera di musicista a quella di attore con esiti modesti; Somers percorre l’America con i Soft Machine, torna a casa e cambia cognome. Il resto è storia. Finita qui? Niente affatto. Quando nel 1995 la Tenth Planet pubblica sul vinile Chariot Rising le registrazioni rimaste nei cassetti (il CD Wooden Hill si farà attendere un biennio), si tocca con mano un prezioso tassello perduto.

Tranne la vacua exotica che un sitar tenta vanamente di inacidire di This Island e la discreta ballata di Colton & Smith Coffee Song, sono perle lucenti il riff tonante ma elegante che apre la sulfurea World War Three, le Fourpenny Bus Ride e Recapture The Thrill da Traffic catapultati in un Ogden’s Nut Gone Flake dietro l’angolo e nell’attualità di Piper At The Gates Of Dawn, una Four Firemen con la quale Ray Davies rinasce Syd Barrett. Il poker che stravince la mano lo confezionano i brani del 45 giri, recuperati e affiancati al raga strumentale Soma – Somers a dialogare di sitar con i fiati su fondali jazzy – e all’alato folk-pop lisergico High Flying Bird, autografa ode all’estate dell’amore anch’essa profumata di jazz e ondeggiante tra visioni di Brian Auger e ipotesi di Soft Machine leggiadri. Vita brevis e ars longa, come si suol dire.

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