“Dominic Appleton è il mio cantante vivente preferito. La sua voce è triste e stupenda, come le melodie che intona.”
Così parlò decenni fa Ivo Watts-Russell, fondatore e cervello della 4AD. Non esagerava, poiché erano stima e amicizia reciproche a far in modo che i promettenti Breathless lavorassero con John Fryer, il produttore che aveva da poco scolpito la compiutezza estetica dei Cocteau Twins. Ulteriore prova dell’onestà intellettuale di Ivo il fatto che Dominic comparirà nel secondo e terzo volume del progetto This Mortal Coil anche se il gruppo da lui guidato non pubblicherà mai per la sua etichetta. Tu chiamale, se vuoi, affinità elettive. Punk nello spirito e nella pratica, i Breathless infatti ricorrevano subito all’autoproduzione tramite il marchio Tenor Vossa per poter evitare il lato oscuro dello showbiz. Comunque inverosimile pensarli delle star nei medi Ottanta, siccome è solo in epoche relativamente recenti che una traduzione piuttosto annacquata e formulaica del dream pop ha conquistato le classifiche.
Sì, perché ci fu un tempo in cui ciò che chiamavamo shoegaze seppe incarnare un suadente anello di congiunzione tra il post-punk e la psichedelia. Mi piace credere che siano stati gli Smiths a forgiarlo con How Soon Is Now?, capolavoro dove chitarre sibilanti e voce mesta sballottavano il cuore e il cervello con lo stesso piglio energico e visionario dei Breathless, da par loro dei talenti purissimi capaci di condurre Tim Buckley tra i solchi di un A Saucerful Of Secrets supervisionato da Brian Eno. Se cercate i progenitori dei “guarda scarpe” dovete rivolgervi anche a loro, per questioni cronologiche ma soprattutto per l’anima romantica che li colloca in una bolla atemporale.
Similmente agli A.R. Kane, gentiluomini e gentildonna sono un culto con basi solidissime che in un attimo ridimensiona i moderni epigoni. Eventuali scettici e neofiti si procurino The Glass Bead Game, il loro LP d’esordio reso ora di nuovo disponibile in un CD Tenor Vossa splendidamente suonante. Annotato che della ristampa in vinile si occupa la 1972 e che alla scaletta originale è stato aggiunto un brano dell’antecedente EP Two Days From Eden, mi limito a ricordare che qui nasce un’alchimia sonora di fascino ed eloquenza non comuni. Del resto navigati, i quattro, poiché Appleton aveva militato con l’amico chitarrista Gary Mundy negli A Cruel Memory e figurava alle tastiere in The Sitting Room di Anne Clark. Conosciuta la bassista Ari Neufeld e accettato l’invito a entrare nella sua band, l’intesa si rivelava tale che entrambi immediatamente fondavano i Breathless convocando Mundy e il batterista Tristram Latimer Sayer. Dopo un paio di singoli e il succitato EP, incidevano questo 33 giri in diretta per conferire “tiro” a brani di livello elevatissimo.
Forte della sapiente post-produzione di Fryer, dal 1986 un wall of sound maestoso senza eccessi intreccia chitarre, tasti e voci su ritmi marziali però sciolti e un basso pulsante (Across The Water, See How The Land Lies), trasforma i Gemelli Cocteau nei Joy Division con un orecchio rivolto ai corrieri cosmici e l’altro di già al post-rock (All My Eyes And Betty Martin, Every Road Leads Home, Touchstone), spedisce gli A Certain Ratio in gita su Marte (Sense Of Purpose) e porge wavedelia evocativa e seducente (Count On Angels, Monkey Talk) . Smentendo il titolo del disco e dell’omonimo romanzo di Hermann Hesse che lo ispirò, queste perle non sono affatto di vetro. Sono i primi abbaglianti gioielli di una carriera immacolata e apprezzata da pochi. A voi il compito di spargere la voce.
Li seguo dal 1986, ho tutto quanto hanno pubblicato, li ho visti live a Milano (aprivano i Felt) e sarebbe ora che vendessero quattro dischi … ti ringrazio per la ri-recensione …
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Prego. Il fatto è che sono persone così squisite e artisti di tale livello che ogni tanto bisogna tornarci su. Cerco di allargare un po’ il club, ecco.
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Fortunato!
Pure io ho la discografia quasi completa.
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Ai tempi del primo album ebbero un certo seguito, anche sulla stampa, li organizzai al Riot di Napoli, andò benino e coprimmo il milioncino di cachet richiesto. Bello leggerne ancora.
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Grazie Paolo. Il bello è che artisticamente sono tuttora in gran forma. E che belle persone, aggiungerei. Che tempi, gli anni ’80 in Italia, per organizzare concerti. Però di gruppi ottimi ne passavano eccome.
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Mi piacciono molto, molto trovo che siano non famosi quanto meriterebbero.
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